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Sono una grafica pubblicitaria grazie a un bar.

  • Immagine del redattore: Narima Zimbaldi
    Narima Zimbaldi
  • 6 set 2023
  • Tempo di lettura: 3 min

Quando ancora non sapevo che il caffè sarebbe diventato il mio migliore amico.



A dodici anni non tutti sanno cosa fare nella propria vita.


Alcuni hanno le idee chiare fin da subito, altri non hanno idee se non quelle basate sulle aspettative dei genitori, altri ancora come la sottoscritta pensano di avere un’idea ma non ne sono molto sicuri.

Scegliere le scuole superiori non è stato affatto semplice. Non ho mai avuto una devozione per lo studio, era più un obbligo per me e il mio voto rappresentativo era un “accettabile”, il classico “può fare di più” o “le basi le ha ma non si applica”; ecco, io mi applicavo quel poco che serviva per andare avanti non certo per eccellere.

Quando mi è stato chiesto cosa volessi fare dopo la terza media la mia risposta credo fosse stata “il meno possibile”.


In realtà c’era una cosa che mi piaceva e non c’entrava affatto con lo studio; erano i bambini. Nel male cercavo qualcosa di buono e quindi pensavo che, dopotutto, studiare per diventare maestra d’asilo sarebbe stato un buon compromesso tra quello che dovevo fare e quello che mi sarebbe piaciuto fare. Sì, avete capito bene, avere a che fare con i bambini mi piaceva già da ragazzina; loro avevano pretese ma non si aspettavano nulla da te, potevi metterti al loro livello e tutto andava bene, potevi trovare un po’ di serenità da quelle che erano le richieste del mondo dei grandi. Sì, poteva essere una giusta strada.


L’alternativa era una scuola artistica o tecnica perché, ad esempio, un liceo scientifico e classico erano proprio al di fuori dalla mia ottica; troppo studio, troppe cose da ricordare, troppo tutto!

Ma (perché c’è sempre un ma) il mio professore di tecniche grafiche mi ha smontata in meno di zero (in questo era davvero bravo): “tu in un istituto grafico? Non fa per te, cambia scuola”. Ammetto che in realtà era anche simpatico a modo suo ma vorrei poterlo incontrare di nuovo oggi un po’ per dirgli che forse aveva ragione e un po’ per dirgli che, in fin dei conti, si è sbagliato alla grande.


Giorni di open day, due opzioni: socio-pedagogico o grafico pubblicitario. Bene.

Ho visitato per primo l’istituto socio-pedagogico, che ora sarà diventato liceo, perché era la prima opzione che mi ero data per la scelta: maestra d’asilo. Sì, ok, l’accendiamo.

Scuola bella da quel che ricordo, grande parco, aula magna, professori e preside che parlano, io mi guardo in giro e penso “sì dai, non male” e nel frattempo mi raggiungono le parole “5 anni”, “percorso universitario”, “magistrali”… Cosa? No, fatemi capire, per fare la maestra d’asilo devo, oltre ai cinque anni di superiori. fare anche l’università? Sì.

Ecco, in quel momento nella mia testa è risuonato quel buzz da quiz televisivo quando sbagliano a dare la risposta e il castello di carta, sogni e speranza (tanta) che mi ero creata è crollato.


A questo punto restava che dar spazio all’opzione B.

Già dall’esterno si capiva il suo essere un istituto tecnico e sì, un po’ non mi dispiaceva questa apparenza vissuta ma appena entrata mi sono trovata di fronte un’immensa vetrata che da sull’aula magna e sulla destra un bar; viavai di studenti, insegnanti, focacce, brioches, panini, odore di cibo, di caffè, di fumo… “Ok, vengo qui!”.


Ho scelto così, solo per quel piccolo dettaglio che è diventato poi il motore delle mie giornate; la ragazza del bar tramutatasi nel mio spirito guida, la focaccia cotto e fontina non solo all’intervallo ma, a volte, anche nell’ora di religione e la macchinetta del caffè diventata con il tempo punto di riferimento per incontri, scappatoie, pause, discussioni. Il caffè appena entrata, il caffè dell’intervallo, il caffè del “scusi prof devo andare in bagno?”, il caffè del “hai cinque minuti? Ti devo parlare”.


Come potete ben immaginare dalla mia premessa iniziale non ero tra gli eccellenti della classe, anzi, sono stata a rischio bocciatura per i primi due anni poi ho preso tutto un po’ come veniva e ho passato l’ultimo anno di superiori senza più ansie perché sapevo che di lì a poco avrei smesso con quello studio imposto; ho finito con l’essere la prima all’orale felice di togliermi di torno l’agonia degli esami (e l’ansai dei compagni) al primo colpo e me ne sono andata con un 70 che suona più o meno come l’ennesimo accettabile del mio percorso di studi ma ehi…


Il 6 settembre 2006 ho iniziato il mio primo lavoro come sostituzione maternità.

Da oggi, 6 settembre 2023 sono una libera professionista.

Grazie caffè e grazie alla piccola me.



"Tutto nella mia vita ha qualcosa a che fare con il caffè. Credo in una vita precedente, ero un caffè".

(Lorelai Gilmore)

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