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La gravidanza al tempo del Covid

  • Immagine del redattore: Narima Zimbaldi
    Narima Zimbaldi
  • 31 ago 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Diventare mamma in pandemia è roba da supereroi. Quasi.



Scoprire di essere incinta in piena pandemia è stato surreale. Sì, perché nel momento peggiore del mondo in cui ogni giorno si sentiva parlare di vittime, io cullavo una vita nuova dentro di me.

Non credo ci sia parola più indicata per descrivere quei 9 mesi.


Lavoro da casa, isolamento, quieto vivere.

Ecco, la mia gravidanza è stato questo. Ho potuto tenere tranquillamente per noi i primi tre mesi senza dovermi preoccupare di nascondere le forme che cambiavano, i malesseri, la fame (sì, tanta tanta fame), i pensieri belli e le preoccupazioni, la gioia. Ho potuto godere a pieno di questo inizio, di questo miracolo, di questo piccolo dono che aspettavamo da tanto ed è stato bellissimo. In realtà, a parte qualche malessere dovuto alla tiroide e qualche nausea il primo mese, per il resto è filato tutto liscio come l’olio cosa che mi ha molto stupita conoscendo il mio passato con la dea bendata che con me si è spesso girata dall’altra parte come a dire “eh? Ah no scusa, non avevo capito che mi avevi bisogno di me”.

È stato tutto un susseguirsi di giornate passate lavorando, cucinando (mangiando), pulendo casa. Mi sono chiesta spesso come mai essere incinta mi avesse resa così attenta all’ordine in casa, io, la regina dei disordinati (sposata con un vergine, poverino)! Poi all’ultimo mese mi hanno spiegato che è la “sindrome del nido” che abbiamo noi donne in gravidanza, un nido che poi ho scoperto non sarebbe mai più stato in ordine una volta rientrati dall’ospedale ma questa è un’altra storia.


La pandemia però mi ha anche tolto tanto, mi ha negato la condivisione.

“Che esagerata” direte voi ma vi vorrei vedere io a voi, passare anni a cercare di avere un figlio e ritrovarvi ad aspettarlo proprio a metà 2020 come vi sareste comportati; sapete, mentre durante l’estate molti “scampato il momentaneo pericolo/ci ripensiamo a settembre” si sono riversati in locali, discoteche, ristoranti e spiagge, io andavo a ogni visita da sola perché mio marito non poteva entrare. E no, non avevo bisogno mi tenesse la mano, volevo solo che almeno per una volta potesse vedere suo figlio muoversi durante un’ecografia o sentire il battito del suo cuoricino dal vivo. “No signora, mi spiace, fosse per me lo farei entrare ma il regolamento me lo vieta”. Ecco, questo mi provocava tanta rabbia.


Non ho potuto nemmeno condividere quei 9 mesi con i miei genitori, con i miei cognati, con gli amici più stretti. Sì, l’affetto non è mai mancato ma una gravidanza è un momento in cui una donna ha bisogno di presenza fisica delle persone care e purtroppo la situazione metteva in difficoltà da entrambe le parti. “Quando passerà avremo modo di passare del tempo insieme.” Spoiler: ci è voluto un anno è mezzo.


E il parto? Oh beh non pensate che non parli di questo (no, non entrerò nei dettagli potete continuare a leggere tranquilli)!

Partorire con la mascherina? Surreale. Ebbene sì, ho fatto anche questo.

Il termine era il 14 dicembre. “Vedrai che arriva prima”, “Il 14 cambia la luna”, “Non arrivi al termine”, “Con la luna che cambia nasce sicuro”. Essendo un precisino come suo padre alle 3 di notte di lunedì 14 dicembre ho rotto le acque. Con tranquillità arriviamo in pronto soccorso (mascherina), mimo all’infermiere dall’altra parte del vetro la rottura delle acque, mi portano in reparto in camera da sola perché dovevo fare il tampone prima, monitoraggio, buonanotte (per dire eh perché in ospedale non si dorme). Alle 9 iniziano le contrazioni (mascherina) da sola perché ancora in attesa dell'esito, salvo ogni tanto qualche intermezzo di ostetriche che venivano a controllare e se ne andavano. Ricordo bene, però, la signora che mi ha portato il pranzo che con tanta dolcezza, quando ha visto che non avevo toccato nulla mi ha detto “Ma gioia, non hai mangiato niente?”. Ho avuto la capacità di risponderle con la stessa dolcezza ringraziandola aggiungendo che non avevo appetito.

Alle 16.30 "sei pronta" mi dicono e mi portano in sala parto (mascherina, che fine ha fatto il mio esito del tampone?). “Posso chiamare mio marito vero? Altrimenti non lo faccio nascere” risate delle ostetriche che mi tranquillizzano dicendomi di sì. Chiedo come si fa per l’epidurale e mi dicono che l’ostetrica in sala parto mi spiegherà. Volevo fare il parto in acqua ma causa Covid non era possibile (dea bendata colpisce ancora). In sala parto chiedo l’epidurale e mi dicono che ormai è tardi, sono già avanti (grazie dea bendata, grazie). Dopo tre ore di contrazioni alle 19.57 nasce Martin, con un piccolo aiuto al mio “estirpatemelo per favore” e un sollievo nel sentire quella piccola anguilla scivolosa piangere sul mio petto.


Il 17 dicembre siamo tornati a casa e finalmente, mio figlio ha sentito per la prima volta un bacio della sua mamma senza mascherina.


Ps: in quelle ore dove l’unica cosa che volevo era respirare e che finisse tutto alla svelta, mi sono sorpresa della calma di mio marito, che non ha ceduto nemmeno un secondo, che mi è stato a fianco come fosse un angelo e che aveva una dolcezza negli occhi che non gli avevo mai visto prima (No, non gliel’ho mai detto e non glielo dirò mai.)



Nel momento in cui nasce un bambino, nasce anche la madre. Lei non è mai esistita prima. Esisteva la donna, ma la madre mai. Una madre è qualcosa di assolutamente nuovo.

(Osho)

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